
La Commissione Europea vuole ridurre la differenza salariale tra uomini e donne e ha in programma l’introduzione di misure che favoriscano la trasparenza sui redditi.
La Commissione Europea si è data l’obiettivo concreto di ridurre la differenza salariale dovuta alla discriminazione di genere ancora presente in molti settori e in molti paesi dell’Unione Europea. La strategia individuata consiste nell’introduzione di obblighi alla trasparenza che permettano di misurare la differenza di paga tra uomini e donne e diano ai lavoratori dei dati concreti sul livello medio di paga per alcuni ruoli comparabili, indipendentemente dal genere di chi li ricopre.
In occasione del suo insediamento, Ursula Von Der Leyen, Presidente della Commissione Europea e prima donna a ricoprire quel ruolo, aveva annunciato che tra le iniziative che avrebbe realizzato nei suoi primi 100 giorni di mandato ci sarebbero state delle regole molto rigide sulla trasparenza. La Commissione ha in programma di presentare la proposta il 4 marzo, esattamente un anno dopo l’annuncio iniziale.
In una bozza della proposta intercettata da POLITICO, risulta che la differenza salariale tra uomini e donne nell’Unione Europea ammonta al 14,1% e che la trasparenza consentirebbe ai lavoratori di individuare i casi di discriminazione. Attualmente sono solo 10 gli stati membri che hanno introdotto leggi sulla trasparenza: Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Spagna, Finlandia, Francia, Italia, Portogallo e Svezia. Irlanda e Olanda stanno prendendo in considerazione di istituirle.
Da quanto risulta dalla bozza, la legge prevederebbe una serie di obblighi per le aziende. Ogni lavoratore avrebbe diritto a richiedere informazioni sulle ragioni alla base della differenza salariale con altre categorie paragonabili. La legge impedirebbe a chi assume di chiedere l’attuale salario del candidato e obbligherebbe a comunicare il salario atteso in occasione del colloquio.
Nel caso in cui dovesse risultare una differenza salariale maggiore del 5%, il datore di lavoro dovrebbe attivare una procedura insieme ai sindacati per dimostrare i criteri che motivano la differenza nella remunerazione. L’aspetto più criticato della legge da parte delle imprese è che sposterebbe l’onere della prova sul datore di lavoro, con la possibilità di appesantire le procedure di assunzione e di aumentare esponenzialmente il numero di cause per discriminazione sul luogo di lavoro.
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